| #CASTELLIDELLATUSCIA | Castel d’Asso – VITERBO

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A pochi chilometri da Viterbo, i resti di Castel d’Asso si ergono su una “penisola” di tufo all’altezza della confluenza del Fosso del Procoio nel Torrente Freddano. Siamo nelle vicinanze della cosiddetta “area termale” e del celebre Bulicame, grossa risorgenza d’acqua sulfurea ben nota fin dai tempi dei Romani e descritta da Dante nella Comedia. 

Sulla strada per Castel d’Asso sorprende lo stacco, quasi improvviso, fra la periferia del capoluogo e gli spazi vuoti e silenti che già introducono ai solenni paesaggi maremmani fra Tarquinia e Tuscania. Giunti al parcheggio, ci si sente definitivamente immersi nel classico scenario campestre etrusco. Vasti pascoli e campi coltivati distesi per chilometri si interrompono bruscamente ai bordi di profondi canyon scavati dai corsi d’acqua che scendono dai Monti Cimini.

CASTEL D’ASSO NELLA STORIA

Come quasi sempre accade nei siti archeologici della Tuscia, ci troviamo di fronte ad una sovrapposizione straordinaria di epoche. Il  maniero domina infatti la necropoli etrusca di Castel d’Asso, riscoperta nel 1817, ed il sito dell’antica cittadina rurale romana di Axia, citata da Cicerone, di cui però non rimane pressoché nulla. Quest’ultima venne probabilmente abbandonata alla fine dell’Impero romano a causa del sopraggiungere delle invasioni barbariche.

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Più tardi, nel IX-X secolo, forse sulle stesse macerie dell’abitato venne eretto l’originario castrum a controllo dell’incrocio fra tre valli e cioè in una località assai importante dal punto di vista strategico. Le forre, infatti, che ai giorni nostri possono sembrare romite ed inospitali, costituivano fino a non molti secoli fa un efficiente reticolo di vie di comunicazione. Pensiamo quindi alla necessità di monitorare il passaggio di  uomini e merci sull’ampia Valle del Freddano, risalendo la quale si poteva arrivare fin quasi alle porte di Viterbo.

LA VISITA A CASTEL D’ASSO

Del castello rimane un sistema frammentato di ruderi, in cui però si riconosce l’impianto generale, conformato sulla morfologia della collina. Il fortilizio si avvaleva così delle barriere naturali formate dagli strapiombi sui sottostanti valloni, mentre le porzioni del perimetro che rimanevano scoperte erano munite di mura. Fra gli edifici conservatisi spicca innanzi tutto il mastio centrale in blocchi di tufo, coronato da una copertura a cuspide in seguito a recenti restauri. Dall’alto della torre si gode di un panorama magnifico. La Valle del Freddano, col suo ampio fondo coltivato, è sotto ai nostri occhi mentre gli altri torrenti più piccoli vi si immettono circondati da fitte boscaglie. Guardando invece verso Nord si vede l’intera città di Viterbo, dalla quale svettano torri e campanili, oltre la quale si innalzano le verdi alture dei Cimini, dalle pronunciate forme vulcaniche.

Dal lato opposto l’altopiano della Tuscia si allarga immenso, e sullo sfondo sconfinato si scorge il profilo sinuoso dei Monti della Tolfa. Accanto al maschio si ammira un’altra torre, forse “capitozzata”, che è in realtà il prolungamento e il baluardo della porta dalla quale si accede al pianoro del castello (oltrepassato il varco si nota anche un grotticella, o meglio una nicchia, di incerta datazione). Una “porta turrita” insomma, costruita con blocchi di tufo alternati a calcare, che in principio dovette costituire il “rivellino” del castello. Entrambe le torri erano circondate da un recinto murario, oggi quasi del tutto scomparso. Poco visibile appare anche una stradina – già etrusca – scavata nella roccia che serviva per fuggire in caso di assedio.

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