| #BORGHIDELLATUSCIA | Cellere

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L’antico borgo di Cellere, situato nel cuore della Maremma laziale, si aggrappa ad uno sperone di roccia tufacea ed è circondato da campagne e colline, in un paesaggio incantato e profondamente segnato dai solchi dei fossi che lo fiancheggiano.

Il paese, tagliato a metà dalla strada principale, così come usava un tempo, offre singolari visioni panoramiche della Valle del Tevere. Singolare anche l’origine del nome: deriva da “Cerere”, Dea delle Messi, a sottolineare la ricchezza del luogo. Secondo altre interpretazioni, il paese ha origini ancora più antiche e sarebbe un retaggio del periodo etrusco: deriverebbe da “celle”, e cioè magazzini. Sembra infatti che in quell’epoca il luogo venisse utilizzato come granaio di Vulci.

Ancora oggi Cellere ha un’ economia prevalentemente agricola: la coltura preminente è quella dell’olivo, premiata dalla C.E.E con il riconoscimento D.O.C “Canino”, per la qualità davvero pregiata dell’olio che se ne ricava.

STORIA DI CELLERE

L’analisi etimologica le attribuisce origini romane, legate ad un antico centro di nome Cellae Cerris. Un’altra ipotesi invece farebbe discendere il paese da Cerere, la dea delle messi. Tuttavia le prime notizie ufficiali, risalgono all VIII sec., quando in un atto di compravendita risalente a marzo del 738 d.C. appare per la prima volta “Cellulis”.

Durante il Medioevo il paese rimase per un certo periodo sotto il dominio di Viterbo, mentre nel 1254, la zona divenne possedimento di Toscanella (l’attuale Tuscania). Nel Trecento la storia di Cellere incontrò quella dei Farnese e nel 1537, Papa Paolo III (Alessandro Farnese), incluse il paese nel Ducato di Castro.

Nel 1649, in seguito alla distruzione del Ducato di Castro, il paese tornò alla Santa Sede fino a che nel 1788 non venne concessa in enfiteusi al marchese Casali Patriarca. A fine XIX secolo venne poi annesso, come molti dei paese del territorio della Tuscia, al Regno di Italia.

CHIESA DI SANT’EGIDIO

Si tratta del monumento più importante della città e vanta nobili origini. Realizzato da Antonio da Sangallo il Giovane, rappresenta un piccolo gioiello di architettura rinascimentale. Costruita tra il 1512 e il 1520, al centro di una piccola valle, vanta linee armoniche, snelle ed eleganti. L’interno, perfettamente conservato, con un meraviglioso pavimento esagonale, arricchito da numerosi affreschi del Cinquecento, è di ottima fattura e di grande rilevanza storica e artistica.

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PIANANO

Il Borgo di Pianiano è l’unica frazione del comune di Cellere. Presenta le caratteristiche della tipica cittadella etrusca arroccata su una rupe con fossi sottostanti. Le leggende su quell’epoca raccontano della monumentale tomba di una principessa Rasenna persa sotto i suoi tufi. Il toponimo Plandianum si fa risalire al latino Planium Dianae, consacrazione forse alla dea della caccia e dei boschi. Effettivamente, nonostante oggi Pianiano sia la porta sud della Maremma, fu un territorio silvano fino all’epoca moderna. Un’altra leggenda vuole l’attribuzione ad una sua bellissima e mitologica sovrana guerriera. Il racconto narra come la principessa Diana, guidata da un mistico richiamo, trovò per prima le antiche tombe degli Etruschi nella Valle del Fiora e ne portò i sarcofagi nella chiesetta del Castello.

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Pianiano è un borgo racchiuso entro le mura castellane. Fu un feudo degli Orsini di Pitigliano, dato in dote a Girolama per le sue nozze con Pierluigi Farnese. Da quel momento entrò nei possedimenti del casato gigliato e del Ducato di Castro. L’accesso al Borgo era controllato da una doppia porta alle estremità del Ponte, in seguito interrato, di cui oggi però ne è ancora visibile il profilo. Dalla porta del Ponte, la pianta del palazzo signorile seguiva il lato ovest della rupe, con un cortile corrispondente all’attuale largo principale, a cui vi si poteva accedere dalla porta est. Dalla strada che conduce a Cellere si possono ancora vedere le arcate del suo loggiato.

La chiesa di San Sigismondo Martire è di origine altomedievale. Dell’antica struttura rimane l’abside e parte di una colonna del disperso baldacchino dell’altare, riutilizzata come paracarro durante la ristrutturazione settecentesca del Borgo. Infatti nel corso dei secoli la chiesa fu ampliata e girata di 90°. Al suo interno è apprezzabile una tela settecentesca detta “Madonna degli Albanesi”.

Pianiano fu abbandonata sul finire del XVII secolo per la malaria che lo infestava, portata dagli acquitrini sfuggiti di mano allo sfruttamento degli incolti di epoca medievale. Nel 1729 il Borgo e le sue terre furono annesse alla Comunità di Cellere. Pianiano tornò ad essere abitato da una colonia di oltre 200 rifugiati cristiani provenienti dall’Albania ottomana, cui papa Benedetto XIV nel 1754 ne assegnò il feudo. Provenivano dalla città e dalla provincia di Scutari (Skodra), ed alcune famiglie dall’attuale Montenegro, allora territorio turco-albanese. Al loro insediamento trovarono il Borgo completamente in rovina e fagocitato dalla vegetazione delle boscaglie attorno.

Nel giro di pochi anni lo ristrutturarono ed iniziarono a disboscare i terreni dell’antico feudo, avviando quel processo di trasformazione del paesaggio -da silvano ad agricolo- che terminò negli anni ’50 del Novecento con le opere di bonifica ed assegnazione di terre dell’Ente Maremma. Nell’epoca d’oro del brigantaggio, Pianiano vide dare i natali al leggendario brigante Domenico Tiburzi, che con i suoi vent’anni di latitanza nelle macchie castrensi si meritò l’appellativo di “Re del Lamone”.

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