| #BELLEZZEDELLATUSCIA | L’Antica Citta di Ferento – VITERBO

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I resti della città di Ferento (in latino: Ferentium) si trovano a soli 6 chilometri da Viterbo (del cui comune fanno parte), sulla strada Teverina verso la valle del Tevere.

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STORIA

Ferento sorgeva sull’altura di Pianicara, dove molto probabilmente, si insediarono gli sfollati della vicina città etrusca Acquarossa, distrutta intorno al 500 a.C. durante le guerre di espansione di Tarquinia. Nel “Liber coloniarum” e in un passo dei “Gromatici veteres” risalente al 123 a.C. si trova la prima menzione della città di Ferento, in riferimento all’assegnazione di una colonia o forse alla spartizione di alcuni terreni demaniali.

| #BELLEZZEDELLATUSCIA | L'Antica Citta di Ferento - VITERBODopo la guerra sociale (91-88 a.C.) intorno al I secolo, Ferento risulta essere stata municipium. Dagli scavi effettuati, è risultato che in età repubblicana, Ferento era sviluppata lungo il decumano massimo della via Ferentiensis, con una disposizione a rettangoli dell’agglomerato urbano, da est verso ovest. Nella prima età imperiale, Ferento raggiunse il suo massimo splendore: infatti risale a questo periodo la costruzione dei più importanti edifici pubblici, come il teatro, il foro, (che però non è stato ancora individuato) le terme, una fontana contornata da numerose statue e l’augusteo. Nel I secolo d.C., risulta essere stato costruito l’anfiteatro, posizionato nella zona nord-orientale rispetto all’abitato.

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Lo splendore di Ferento proseguì anche nel secolo successivo e fu definita “civitas splendidissima“, come è scritto in un’epigrafe di marmo rinvenuta nei pressi della città. Tra gli abitanti di Ferento, spiccano alcuni nomi illustri, come Salvio Otone, imperatore di Roma per pochi mesi nel 69 d.C., e Flavia Domitilla Maggiore figlia di Flavio Liberale e moglie dell’imperatore Vespasiano, dalla cui unione, nacquero Flavia Domitilla Minore e gli imperatori Tito e Domiziano.

| #BELLEZZEDELLATUSCIA | L'Antica Citta di Ferento - VITERBODal III secolo d.C. le notizie su Ferento, si fanno più nebulose. Dal “Liber pontificalis“, si evince che in quel periodo in città si praticava il culto per sant’Eutizio morto nei pressi di Soriano nel Cimino durante le persecuzioni messe in atto dall’imperatore Aureliano nel 269. La città viene citata nel IV secolo all’epoca dell’imperatore Costantino e altre menzioni sono sotto i papi Silvestro (314-355) e Damaso (366-384), nei “Tituli constituiti“.

ECONOMIA

Ferento fu un ricco municipio romano dove le attività principali erano il commercio, l’agricoltura, l’allevamento, nonché l’estrazione e lavorazione di tufo e peperino. Importante era la lavorazione e la commercializzazione del ferro che era facile da reperire in grandi quantità e soprattutto in superficie, su gran parte del territorio circostante.

Per questi motivi Ferento divenne una città molto ricca, abitata da artigiani e commercianti che controllavano i traffici delle merci che si spostavano dalla costa del Tirreno all’entroterra e viceversa. Visti i comfort ed i servizi che la città offriva, erano molte le famiglie romane che la sceglievano per trascorrere i propri periodi di vacanza, aumentando così l’importanza e la fama della città.

FERENTO SEDE VESCOVILE

Dalla fine del V secolo alla metà del VII secolo, Ferento risulta essere diocesi ed il primo vescovo, dovrebbe essere stato san Dionisio nel III secolo. Informazioni più precise si hanno invece dei vescovi Massimino nel 487, Bonifacio (probabilmente 519-530), Redento (567-568), Marziano (595-601) e Bonito nel 649.

LE PRIME CRISI

Dalla fine del V secolo alla metà del VII secolo, Ferento risulta essere diocesi ed il primo vescovo, dovrebbe essere stato san Dionisio nel III secolo. Informazioni più precise si hanno invece dei vescovi Massimino nel 487, Bonifacio (probabilmente 519-530), Redento (567-568), Marziano (595-601) e Bonito nel 649.

Durante la guerra greco-gotica prima e nella guerra detta dei trent’anni (575-603) tra Bizantini e Longobardi, la città di Ferento non fu risparmiata, come gran parte dei centri dell’Etruria meridionale. La popolazione, subì un forte calo demografico e si ritirò ad ovest dell’antica città, cercando di fortificare la zona con delle recinzioni murarie, circoscrivendo un’area di circa 30.000 m2.

Anche la sede vescovile venne spostata nel VII secolo da Ferento a Bomarzo, che si trovava in una più favorevole posizione per il controllo della valle del Tevere. I Longobardi, nel riassetto dei confini della Tuscia, divisero il territorio ferentano in tre parti che andarono a finire in tre diocesi diverse, quella di Bagnoregio, quella di Bomarzo e quella di Tuscania. Il re longobardo Liutprando nel 740 lasciò la città di Ferento e si spostò in Umbria dove nei pressi della Cascata delle Marmore, fondò un piccolo borgo, al quale diede poi il nome di Ferentillo in ricordo della città lasciata.

Nel 787/788 Carlo Magno consegnò Ferento a papa Adriano I, a seguito della “Promissio donationis” del 744 di Pipino il Breve. Nel 940, Ferento, risulta far parte di una circoscrizione amministrativa nominata “Comitato ferentensis“.

LA FERENTO MEDIEVALE

Dei secoli XI e XII, non si hanno molte notizie, comunque alcuni documenti fanno pensare che Ferento si fosse organizzata in un’autonomia comunale ed in ogni caso, è certo che, nonostante tutto, l’abitato si fosse lentamente ripopolato allargandosi ad est del Teatro, dentro una nuova cinta muraria che delimitava circa 70000 m².

In questo periodo, fu costruita una torre di guardia all’interno del Teatro e sotto le arcate dello stesso furono sistemate varie botteghe artigiane. Nel XVI secolo sorse lungo la strada principale un piccolo sobborgo che prese il nome di “borgus Ferenti“, divenuto poi Borgo di Ferento. Intorno al X-XI secolo, Ferento riprese a crescere economicamente e di importanza, attirando così le poco rassicuranti attenzioni della vicina Viterbo che era in piena fase espansionistica, con una politica volta al totale controllo della Tuscia.

IL DECLINO DELLA CITTA’

Il declino e la successiva distruzione della città di Ferento, sembrano essere scaturiti da un episodio del 1169 che alcune cronache riportano con una certa confusione, infatti sembrerebbe che i Ferentani avessero chiesto a Viterbo un aiuto per la lotta contro la città di Nepi (ma si parla anche del contrario). Tuttavia mentre l’esercito viterbese attendeva gli alleati sui Monti Cimini, i ferentani, arrivati davanti alle mura di Viterbo, si fecero aprire la porta Sonsa e misero la città a sacco.

La popolazione impaurita si rifugiò presso la chiesa di Santa Cristina e l’arciprete, venuto a conoscenza dell’accaduto partì subito a cavallo verso i soldati viterbesi i quali, appresa la notizia presero subito a rincorrere i ferentani già sulla via del ritorno.

Arrivati addosso al nemico, i viterbesi scatenarono una feroce carneficina che non risparmiò nessuno e tanti furono i morti sparsi in quel luogo, che prese il nome di “Carnajola” o “Carnaio”. Una leggenda dice che da quel giorno, le acque del fosso sottostante iniziarono a depositare sul fondo una scia rossa, dovuta al sangue dei ferentani morti (in realtà le acque contengono materiale ferroso che imprime alle rocce una colorazione rossastra).

Questa versione dei fatti, è quella chi ci viene tramandata dai viterbesi, senza nessuna documentazione che possa darci una controversione ferentana, certo è che i viterbesi, erano determinati ad avere il totale controllo del territorio e dovevano a tutti i costi togliersi di mezzo la città di Ferento, che posta in quella zona così strategica, non poteva che essere sottomessa.

Un’altra versione dei fatti, che invece si tramanda a Grotte Santo Stefano, dice che i viterbesi, usarono il pretesto dell’aiuto per la lotta contro Nepi, semplicemente per far uscire l’esercito ferentano dalla città e quando questo giunse allo scoperto, i viterbesi scatenarono l’attacco che portò alla carneficina, in quel luogo che come già detto prese il nome di “Carnajola”.

Nel 1170, Viterbo attaccò Ferento e dopo averla saccheggiata, la diede alle fiamme. Dopo questo assalto Ferento, fortemente indebolita, fu costretta a giurare sottomissione a Viterbo nel 1171. Alla fine dello stesso anno la popolazione tuttavia si rivoltò e Viterbo, con l’aiuto della vicina Celleno reagì duramente: la notte del 1º gennaio 1172, con il favore del buio e con il pretesto di eresia, l’esercito viterbese alleato con i cellenesi, attaccò a sorpresa la città addormentata, uccise uomini, donne, vecchi e bambini e finito il massacro, appiccò il fuoco distrugendo tutto.

I viterbesi risparmiarono alcuni ferentani di nobili famiglie e li concentrarono a Viterbo presso la zona di San Faustino, mentre altri ferentani che si salvarono dalla strage, perché erano fuori della città e guardare le greggi (nelle fredde notti invernali, erano frequenti gli attacchi dei lupi), si allontanarono dirigendosi verso la valle del Tevere. Lungo il percorso, trovarono riparo in alcune grotte di origine etrusca, presso le quali si stabilirono definitivamente, usandole come abitazioni, dando così origine a Grotte Santo Stefano.

I viterbesi fin dal 1158 si erano alleati all’imperatore Federico I detto il Barbarossa e avevano scatenato molte guerre nei confronti di vari castelli della Tuscia, senza però avere il consenso dell’imperatore, che mise così la città al bando. Il bando venne tuttavia tolto nel 1174 e Cristiano, arcivescovo di Magonza assicurò la non riedificazione di Ferento, riassegnando il territorio di quest’ultima al contado di Viterbo.

Tutti i possedimenti delle due più ricche chiese di Ferento, San Bonifacio e San Gemini, furono poi assegnati nel 1202 alle chiese viterbesi, Santo Stefano e San Matteo in Sonza. Il simbolo della città di Ferento, era una palma e quello di Viterbo un leone, e per evidenziare l’annientamento della città rivale, i viterbesi aggiunsero la palma al leone dando origine allo stemma comunale viterbese che ancora oggi è così rappresentato.

Negli statuti comunali viterbesi degli anni 1237-38 e 1251-52 erano previste sanzioni gravissime per chiunque avesse tentato di ripopolare la città di Ferento, vietando persino ogni tipo di coltivazione e addirittura, nello statuto del 1251-52, era prevista la totale distruzione del teatro e di tutto ciò che c’era intorno, che però non venne attuata.

A cavallo del XIV e XV secolo, le rovine di Ferento, furono utilizzate dagli eserciti di passaggio per accamparsi e nonostante papa Martino V avesse incaricato Cristoforo D’Andrea di Siena di riedificare e ripopolare il sito, i viterbesi, riuscirono nuovamente ad impedirlo.

RITROVAMENTI ARCHEOLOGICI

Il “re archeologo” Gustavo VI Adolfo di Svezia per diversi anni lavorò per riportare alla luce i resti della città, sia di età romana che medioevale: tra questi merita una menzione particolare il teatro romano, ancora oggi sede di spettacoli estivi. Oggi gli scavi sono affidati alle campagne promosse dall’Università della Tuscia.

I reperti più significativi sono esposti nel Museo nazionale etrusco Rocca Albornoz, presso Rocca Albornoz, in particolare, alcune statue in marmo raffiguranti i personaggi della tragedia e della commedia greco-romana che presumibilmente erano posizionate nel frontescena del teatro. Inoltre è presente una piccola ricostruzione in legno del teatro ferentano. A pochi chilometri da Ferento, il sito di “Acquarossa” sviluppatosi tra l’VIII ed il VI secolo a.C. è stato oggetto di importanti ritrovamenti archeologici fatti tra il 1956 ed il 1978 dall’Istituto Svedese di Roma.

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